Sei lì, che ti fai i fatti tuoi, come tutti i santi giorni.
Sei lì, che ti fai i cavolo degli affari tuoi, come tutte le dannate mattine davanti a quei dannatissimi cancelli, a due metri da te.
Sei lì, in anticipo, come tutti i giorni, che ti fa schifo arrivare tardi.
Sei lì, con la tua solita Marlboro rossa, e il solito smanicato nero, e la solita felpa, con i soliti jeans e le solite scarpe da ginnastica, e il solito Invicta bordeaux – più marrone che bordeaux – poggiato sull'asfalto, e, come al solito, guardi alla tua destra, in fondo ai quei soliti quindici metri, per vederlo arrivare.
E lui è lì, come al solito, che ride e scherza con gli altri. Hai smesso di vedere bene da lontano da anni, cazzo, da lontano non riconosceresti nemmeno tua madre, ma lui sì. Lui, col suo solito berretto scuro, il solito giubbotto nero e il solito zaino nero su tutte e due le spalle (mentre tu erano anni che portavi il tuo Invicta scalcagnato su una spalla sola), e i soliti guanti senza dita che fanno tanto figo ma che in realtà ricordano tanto Padre Pio. Senza offesa per Padre Pio, ovviamente.
E tu sei lì, che consumi la tua solita Marlboro rossa fino al filtro – che è uno spreco spegnere la sigaretta con ancora un centimetro prima del filtro, con quello che costano le Marlboro – mentre lui arriva e, come al solito, ti lancia il suo solito sorriso e il solito ciao, al quale rispondi con il solito saluto seccato.
E ti ricordi una volta in cui, tu, quei quindici metri non li hai voluti percorrere e ti sei fermata prima, nascondendoti per un'ora senza sapere se andarci o meno, a scuola. E ti ricordi, quando poi ti presentasti in classe, quegli stessi occhi che ti guardavano come per schiaffeggiarti, tutto per una cosa che avevi detto il giorno prima:
“Ci vediamo domani, allora. Ma c'era compito di matematica?”
“Sì. Non garantisco sulla mia presenza. Potrei sempre non sopravvivere, stanotte.”
Evidentemente, ti aveva presa sul serio.
Ormai, nemmeno ti ricordi più il giorno in cui hai percorso l'ultima volta quei quindici metri.
Tanto, non avevi lui da aspettare, non che qualcuno ti obbligasse a farlo, sia chiaro. Tanto, a lui non era mai fregato niente. O no?
Tanto, a lui, ora, nemmeno interessa più.
Perché quello che, una volta, si proclamò il tuo migliore amico, una delle persone che ti conosceva, in realtà non ti conosceva affatto.
Altrimenti avrebbe riso, no? Altrimenti non se la sarebbe presa, no? Altrimenti, lo avrebbe saputo che non parlavi di lui, no?
No?
E ripensi ancora a quando erano solo quindici metri a separarvi, e tu fumavi una sigaretta che sapeva di ribellione mentre aspettavi che lui arrivasse.
E ripensi a quando, volendo vedersi oltre scuola, c'era solo mezz'ora di treno, trenta fetenti chilometri, e non novecentoquaranta.
Non novecentoquaranta chilometri e una moglie, che, vaffanculo, è pure carina. E, vaffanculo due volte, non è una modella rachitica.
E vaffanculo ancora, per tutte le cavolo di mattine in cui ti alzavi prima, per arrivare prima di lui e goderti quei quindici metri in cui tu lo guardavi e lui non se ne accorgeva.
E vaffanculo ancora, per tutte le notti in cui non riuscivi a prendere sonno prima del suo dannatissimo squillo delle tre del mattino, che poi perché cavolo ti faceva uno squillo alle tre del mattino?
E vaffanculo ancora, per tutti i pomeriggi che hai perso a cercare di farlo studiare, per tutte le volte che il tuo fegato ha implorato pietà quando ti faceva arrabbiare, per tutte le volte che non lo hai mandato mai davvero a fare in culo.
E vaffanculo, ancora una volta, perché occhio non vede, facebook te lo dice. Senza facebook, non staresti rodendo per novecentoquaranta chilometri e una moglie.
E vaffanculo ancora, perché sai che, in fondo, è colpa tua. Per tutte le volte che quei quindici metri li hai percorsi in silenzio.
Per tutte le volte che quei quindici metri li hai fatti di corsa senza aspettarlo.
Per tutte le volte che, dopo quei quindici metri, hai cambiato strada, per non stare un altro dannato secondo con lui.
Per tutte le volte che quei quindici metri ti hanno fatto morire. Per lui.
Perché lasciare certe strade è difficile, insopportabile. Significa uccidere qualcosa che esiste, soppri, soffocarsi con le proprie mani pregando di riuscire a respirare ancora, come una volta, come prima.
E vaffanculo per l'ennesima volta, perché, ogni volta che passi di lì, sposti lo sguardo su quei quindici metri di strada, e tiri dritto, senza svoltare, senza percorrerli.
E fa un male boia.